Una foto con un cancelletto mentre corrono i reels.
Ammassati,
come puntini nel quadro di Seurat,
riempiamo con schermi sempre accesi bus, treni, metro e, case.
Spenti e sempre connessi.
Seurat però (pace all’anima sua come direbbe mia madre) almeno i colori li usava, così bene da mescolarli tutti quanti.
Noi, visti da lontano invece, li perdiamo un po’.
Tinti come stiamo tutti uguali con ciò che pensiamo ci piaccia perché forse, a forza di vederlo, non ci chiediamo nemmeno più se ci piace per davvero.
E quelle lettere, i disegni lenti, le cartoline (le ricordate ancora?), i pensieri sui diari, le parole scelte, ecco sì, si scompaiono.
Allora eccomi qua, dall’animo vintage a tornare a scrivere, in questo mondo in burrasca dove la ragione combatte, ecologicamente, guerre.
Cerco il bello, il mio bello, in ciò che ancora mi rappresentata.
Nell’arte di un fornaio, nelle botteghe, dai fiorai, nelle culle, nei lavoratori, nei creativi, nella macchina da scrivere.


Settembre ci ha fatto votare, ci fa riprendere le abitudini e sentire il nido casalingo.
Ci fa riflettere a noi, che abbiamo ancora tempo.
Tempo per scriverci un biglietto d’amore, per abbracciare e abbracciarci, per fotografare di più i cuori
se solo li ascoltassimo davvero, tempo per parlare con gli occhi, per disegnare.
Tempo per aiutare quella donna con il passeggino a salire le scale, tempo almeno per guardala, per notare che esiste, che attorno a noi ruotano tante anime diverse che ci colorano se alziamo il nostro sguardo.
Tempo per divertirsi un po’ di più con questo dono di vita.
È l’ora della vita, del tempo di chiederci.
Come stai?
Mangio le ultime pesche, ci aspetta l’autunno dove la natura maestra si spoglia di ciò che non le serve e ci offre i suoi colori.
Dagli antichi granai, piantiamo nuovi semi.
Buona riflessione,
Macchie di Chinà
